IL PROGETTO
Ne parlano:
Per quasi un secolo questa zona di Milano ha rappresentato uno dei poli produttivi più importanti d’Italia.
Alla fine dell’800, la tranquilla campagna lombarda a nord della città ricca di cascine, fontanili, ville e coltivazioni di gelsi, si trasforma in uno dei più vivaci ed innovativi comparti industriali del Paese, generando progresso e flussi migratori, diventando un motore occupazionale per diverse generazioni.
I settori chimico-farmaceutico e meccanico diedero vita a due veri e propri distretti: le imprese più importanti furono la Giuseppe Candiani, per la produzione di acido solforico e la Ceretti & Tanfani per la produzione di impianti di sollevamento e di trasporto
L’arrivo de L’Union de Gaz, nel 1908, uno degli impianti più imponenti in Europa, per la produzione e la distribuzione del gas cambiò definitivamente l’aspetto di questo luogo: i nuovi fabbricati occupano gli spazi agricoli, le cascine ed i campi coltivati soppiantati ed affiancati dai capannoni e dalle ciminiere delle grandi industrie.
Accanto a questi giganti anche molte altre attività produttive di dimensioni minori si stabilirono in Bovisa. Nel 1907 la Fratelli Branca Distillerie trasferì qui la lavorazione del famoso Fernet, nel 1924 Luigi Zaini scelse Bovisa per la propria produzione di cioccolato e sempre nella prima metà del secolo scorso la Montecatini, la Face Standard, la PPG ,la Broggi, la Vogel, la Sirio, la Carlo Erba e la Fabbrica Livellara ,l’unica che ha resistito all’abbandono ed alle conseguenti demolizioni.
Un altro aspetto molto interessante della storia industriale della zona è la presenza di altri tipi di fabbriche, legate allo spettacolo, che fecero di Bovisa la prima cinecittà italiana. Qui sorgevano alcuni studi che si confondevano con i capannoni delle altre industrie, come ad esempio la “Fabbrica della Scala”, i laboratori dove venivano realizzate le scenografie che andavano in scena nel palcoscenico più noto al mondo ed anche il primo stabilimento cinematografico italiano: La Armenia Films, dove vennero realizzati, ancora prima che a Cinecittà, i primi film e documentari prodotti in studio in Italia.
Per molti anni questa zona di Milano ha rappresentato uno dei poli produttivi più importanti d’Italia. La piccola “Manchester italiana” stava vivendo il suo periodo più fecondo e complicato, fatto di lavoro e progresso, ma anche di inquinamento, di lotte operaie, di diritti del lavoro, di immigrazione, di rivendicazioni sindacali, di questioni sociali. Negli ani 60 vengono realizzati i quartieri di Quarto Oggiaro e Bovisasca, che nati sotto la forte pressione immigratoria, diventano dei veri e propri quartieri dormitorio
Sarà però la dismissione delle “Officine del Gas”, a modificare drasticamente la vita economica, sociale e culturale della Bovisa. Il gasometro diventerà l’elemento simbolo dell’industrializzazione massiccia dell’area che nella seconda metà del ‘900 subisce un duro colpo: le fabbriche vengono dismesse una dopo l’altra e le industrie tendono ad uscire dalle città causando un cambiamento in negativo per la zona che è protagonista di un lento ma inarrestabile processo di abbandono e smantellamento, testimoniato oggi dalle “cicatrici” di archeologia industriale che costellano il quartiere.
Il paesaggio industriale e popolare di Bovisa, i suoi abitanti e i suoi lavoratori, le sue fabbriche, i gasometri e le case a corte, hanno rappresentato una fonte di grande ispirazione per artisti di tutte le discipline.
Dallo scrittore Giovanni Testori, al grande Luchino Visconti; da Ermanno Olmi all’architetto e designer francese Le Corbusier, fino al pittore Mario Sironi, che ritrasse proprio quelle fabbriche come simboli di cultura del lavoro e lotte operaie.
Le stesse che ora appaiono come luoghi senza nome, capannoni silenziosi, cancelli chiusi sul vuoto e muri di cinta innalzati sul nulla.
Nella chiesa della Bovisa, a lato dell’altare maggiore, è quasi nascosto un affresco sacro, dove alle spalle di una Madonna in preghiera si riconoscono le ciminiere delle vecchie fabbriche della zona. Simbolo di un legame inscindibile tra la sacralità e la cultura del lavoro.
Un angolo di Milano che offre sorprendenti contrasti urbanistici, un paesaggio cittadino unico, in continua trasformazione, eppure costante nelle sue contraddizioni e nelle sue dissonanze. Un territorio sospeso tra memoria e riscatto, in bilico tra passato e futuro, dove il tempo sembra scorrere in modo circolare. Un luogo costellato di non luoghi.
Il profondo, ma lentissimo, processo di recupero edilizio di questi ampi insediamenti produttivi, iniziato con l’apertura del Passante ferroviario e l’arrivo del Politecnico che hanno permesso di aprire alla città un quartiere storicamente isolato dalle sue stesse infrastrutture, il Design District, la street art di artisti di fama internazionale, i molti studi creativi, si mescolano con i resti di quella che potremmo definire un’area archeologica industriale dimenticata e sottovalutata, con le ciminiere dei vecchi stabilimenti abbandonati, gli scheletri delle officine, i gasometri dismessi e schiacciati tra la ferrovia e la circonvallazione.
Se da una parte ci sono numerosi aspetti positivi, dall’altra sorgono quelli negativi che evidenziano un’urbanizzazione selvaggia che ha sempre più ridotto gli spazi verdi e di cui anche la “Goccia” rischia di essere vittima.
La “Goccia” rimane oggi l’elemento simbolo di quest’area, perchè da questo stabilimento è partito lo sviluppo della zona, un pezzo di storia importante per i cittadini e un elemento da preservare: un’architettura della “memoria” che rappresenta a pieno lo spirito di questa parte di Milano.
Negli ultimi trent’anni purtroppo le scellerate decisioni di varie giunte comunali hanno cancellato un patrimonio culturale, sociale e architettonico unico nel suo genere. Nei luoghi dove si è fatta la storia ora resta il vuoto. E con il vuoto si cancella la memoria.
Il progetto nasce con l’idea di cristallizzare le trasformazioni urbane di un quartiere milanese, attraverso una ricerca fotografica di luoghi e simboli, che consumiamo quotidianamente, senza però coglierne l’essenza sociale e il valore storico. Un viaggio nella quotidianità, a 1000 metri da casa, camminando lentamente, in un labirinto di magazzini, recinzioni, grandiosi manufatti di archeologia industriale che confinano con moderne architetture, cancelli chiusi sul vuoto, capannoni silenziosi dove il tempo sembra scorrere circolare ed inseguendo una memoria storica che non va archiviata come un passato da dimenticare, ma che deve essere stimolo per costruire il futuro.